Era buio. L’oscurità più totale avvolgeva ogni cosa. “Forse sono bendato, oppure sono diventato cieco…” pensò l’uomo in silenzio mentre riprendeva i sensi. Provò a toccarsi la faccia ma i suoi polsi erano bloccati. La durezza della sedia su cui era seduto e la forte sensazione di costrizione lo fece sussultare: “Ma che cosa..”: capì di essere legato. La sensazione di ruvido sugli zigomi e il calore del suo respiro sulle labbra, gli diedero la certezza di avere un sacco sulla testa, probabilmente di juta. Ma chi? E come? Provò ad urlare: “C’è nessuno? Qualcuno mi aiuti!” Ma la sua voce riecheggiò senza che ci fosse nessuna risposta. Cominciò a ragionare a voce alta: “…cosa è successo? L’ultima cosa che mi ricordo è stato il giardino del laboratorio…stavo passeggiando mentre osservavo la danza delle lucciole…poi quel rumore dietro il cespuglio di bosso…quella puntura sul collo…si, il collo…poi, il buio…” Provò a far dondolare la sedia, ma fu inutile: doveva esser ancorata al pavimento. Un rumore di serratura lo fece sobbalzare: una porta si stava aprendo cigolando sui cardini.
Voci nell’oscurità
La luce a neon illuminò l’ambiente e piccoli raggi trapelarono dalla trama del sacco sulla testa dell’uomo. Un forte ododre di disinfettante mista a olio bruciato inondò lo spazio intorno, tanto che all’uomo legato alla sedia sembrò di soffocare. “Ma se po sapè che vulite a me?!” disse il professor Alpha, cercando di scattare in piedi, ma senza successo. “Stai zitto, altrimenti ci scopriranno” una voce di ragazza gli sussurrò all’orecchio, in un perfetto italiano con un tipico accento inglese. Con un gesto rapido, il sacco che oscurava la vista del professore fu tolto.
La luce accecante dei neon lo fece strizzare gli occhi. Lentamente li riaprì e vide una giovane ragazza dalla pelle d’ebano e capelli undercut che cercava di tagliare le corde che lo legavano alla sedia: le sue mani si muovevano veloci mentre la lama de taglierino attraversava le corde. Il professore si guardò intorno: la stanza era una cella di acciaio, spoglia e fredda. Si voltò verso la ragazza: “E tu chi sei? Dove ci troviamo?”
Un luogo inaspettato
Gli occhi scuri della ragazza lo fissarono mentre sfilava le corde e sottovoce gli disse:”mi chiamo Lewa e dobbiamo scappare via di qui, prima che questo posto esploda e noi con lui. Forza, si alzi e venga con me!” e così dicendo lo prese per la mano e lo tirò verso la porta. La aprirono guardandosi intorno: nessuno. Il lungo e stretto corridoio in ferro e acciaio non mostrava finestre ne balconi. La luce dei tubi a neon li guidava verso l’unica strada possibile: una porta con la scritta verde EXIT. La giovane ragazza aprì la porta con molta cautela. Il professor Alpha la seguiva continuando a guardarsi intorno: grossi tubi bianchi e gialli correvano lungo il soffitto e un ritmico rumore proveniva dal piano superiore. Un forte odore di sale trapelava dalle fessure arruginite delle pareti, mostrando inconfondibili lacrime rosse. Non c’erano più dubbi: erano su una nave.
In cucina
Superarono la porta ed entrarono in una grande stanza con grossi fornelli, lavandini e piani in acciaio: quella doveva essere la cucina. Era un disastro. La cappa pendeva dal soffitto, incrostata di grasso e fuliggine. Pentole arrugginite e scatolame vuoti giacevano sparsi sui banchi. Al centro della stanza, sotto una luce fitostimolante, una vasca di plastica traboccava di grosse verdure fresche direttamente cresciute in cucina che galleggiavano, usate probabilmente per sfamare la ciurma. Quella serra idroponica autocostruita era una piccola oasi nel lerciume di quella stanza. A terra i secchi con terriccio e pollina fresca, che maceravano in acqua, saturavano l’aria con i loro vapori. La cesta degli scarti delle verdure troneggiava dall’angolo della stanza. Il silenzio fu rotto dalle parole del professore:”ma cosa ci facciamo qui?” e così dicendo guardò fisso la bella ragazza dalla carnagione scura.
Fuga fra i flutti
Lei fermò per un attimo la sua smania e si girò verso il professore, cercando di dare delle sintetiche, ma utili, spiegazioni:”Professore, Siamo su una nave mercantile diretta a Dakar, ma il viaggio è stato interrotto. Io sono un passeggero <non ufficiale>; mi nascondevo nella stiva e ho consumato le provviste per giorni.”
Cambiando il tono di voce continuò. “hanno parlato di abbandonare la nave, di esplosione e hanno cominciato a spostarsi sulle scialuppe… hanno iniziato a litigare per i posti disponibili. Ho sentito uno di loro che parlava di un rapimento… del professor Alpha. Poi hanno chiuso i comparti stagni e… hanno cominciato a sparare: sulle porte, sulle apparecchiature e… sul personale di bordo. Molte uscite che portano ai piani superiori sono state sigillate. Se non ci sbrighiamo moriremo su questa nave!”
La spiegazione fu interrotta dalla sirena lampeggiante che aveva preso a roteare illuminando la parete della cucina. Una voce metallica proveniente dai piccoli altoparlanti nell’angolo della stanza, annunciò distintamente:”Self-destruction expected in thirty minutes“. I due si scambiarono una rapida occhiata di terrore mentre la voce ripeteva il suo ultimo annuncio.
Urla
Il professore la guardò fissa: “Piccerè, dobbiamo scendere da questa bomba galleggiante. A occhio e croce ci troviamo su una portarinfuse, forse una Capesize da 120K tonnellate. La plancia di comando dovrebbe essere verso la poppa. Le orme degli stivali sporchi e l’odore di olio bruciato mi fa pensare che la sala macchine è qui vicino. Il silenzio mi fa supporre, però, che i motori siano fermi. quindi”, Alpha si girò e andò a grandi passi verso il corridoio ” seguiamo la porta che è alla nostra destra, affianco al frigorifero e arriveremo alla sala comandi.” “Ma ci potremmo perdere! Come sa che da li si va verso la sala comando?”-Chiese Lewa incredula, presa dal panico-“La pendenza della nave? L’oscillazione dei motori del frigo?” Incalzò la bella mora. Il professore, con calma serafica alzò il dito indicando la parete liscia: “No, ho letto l’indicazione” e, mentre entrambi guardavano la scritta rossa “bridge“, prese per mano Lewa e corsero nella direzione indicata. Svoltarono la prima curva e un urlo straziante li pietrificò. Arrivava dal fondo del corridoio. Qualcuno aveva bisogno di aiuto.
Il killer a bordo
Si avvicinarono ad una porta chiusa, mentre qualcuno batteva i pugni dall’interno, intervallando con urla disumane. Il professor Alpha aprì la porta lentamente, con la mano destra e, spostando con il braccio sinistro Lewa, si interpose ad un eventuale pericolo. La stanza era piccola e buia, l’odore di disinfettante era nauseante. Un uomo in camice bianco macchiato di sangue era davanti alla porta aperta. Gli occhi erano infossati e la pelle era bianca pallida, ricoperta da violacee vescicole. Alpha lo scrutò come un puzzle da risolvere tenendosi a debita distanza. Sul petto notò una scritta cucita sull camice: Antonino Ferri. Con voce ferma Alpha si rivolse all’uomo: “Chi sei? Che è successo qui?” L’uomo, con un filo di voce rispose con lo sguardo perso nel vuoto: “Sono il dottor Ferri, il medico di bordo. Siamo in grave pericolo. C’è un killer a bordo e ha ucciso metà dell’equipaggio.”
Un attacco biologico
“Un agente patogeno… ha fatto fuori quasi tutti dell’equipaggio” continuò Ferri “stavamo lavorando ad un nuovo programma per il controllo degli ecosistemi marini. Si sono ammalati prima il cuoco, l’aiuto e il capitano. Poi, a distanza di poche ore si sono sentiti male anche gli altri. Sono morti nell’arco di poche ore dall’inizio dei sintomi. Forse è nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo…nessun antibiotico a bordo riesce a ucciderlo. Siamo stati vittima di un attacco biologico… Quando ho iniziato ad ammalarmi anche io, i cinque rimasti senza sintomi mi hanno chiuso qui dentro e sono fuggiti…maledetti..”
“A bordo non c’è più nessuno. Siamo spacciati…” furono le sue ultime parole prima di svenire. “Dottore! Si svegli!” Urlò disperatamente il professore, ma senza risultato. L’uomo era completamente immobile. “Professore, dobbiamo scappare, andiamo!” Lewa strinse forte la mano del professore e iniziò a correre nel corridoio, trascinandolo con se, lasciandosi l’uomo in camice bianco accasciato al suolo.
Una nuova sfida
La porta del corridoio, che divideva l’ala est, era serrata. Evidenti fori di proiettile riempivano la parete. Erano soli, isolati, chissà dove. Ma il silenzio fu rotto da una voce metallica proveniente dall’altoparlante metallico in cucina. “Prof Alpha….Pof Alpha….”I due ritornarono di corsa in cucina mentre un brusio usciva dalla piccola cassa dell’altoparlante.
“Porf Alpha, non abbia timore: la sua vita non è in pericolo. O, almeno, non lo sarà fino a quando il suo straordinario intuito non fallisca. Lei si trova in un esperimento in mezzo al mare. Sul tavolo è presente la lista delle persone che si sono ammalate in ordine cronologico, la loro mansione e la loro età. Scopra la fonte dell’infezione e la verremo a prendere. Le nostre telecamere a bordo la seguiranno in ogni suo passo. Ha solo un’ora: il capitano ha pensato bene di disfarsi di ogni traccia di quel carico innescando una serie di ordigni sparsi a bordo per affondare la nave. Non perda tempo: la terremo d’occhio” e così dicendo si interruppe la comunicazione, mentre una piccola telecamera appena visibile sotto l’altoparlante emise un sinistro rumore di messa a fuoco.
Le indagini
I due si guardarono con occhi spalancati. Lewa strinse le mani del professore: “Come facciamo a sapere se il problema è nell’acqua, nell’aria, o se siamo infetti noi stessi? Come possiamo risolvere questa storia pazzesca?” Alpha annuì, poi si girò verso gli stipi in acciaio: “Dobbiamo cercare indizi. Se siamo bloccati qui, significa che la soluzione è a portata di mano.”.
Iniziò ad aprire i cassetti e le ante degli armadietti. Alpha frugò tra le carte sparse nei ripiani: fatture, l’elenco dell’equipaggio, bigliettini e fogli scarabocchiati. Fra questi c’era un numero telefonico, con prefisso +380 4499. Sul bigliettino era segnato: headquarters. Alpha prese il bigliettino e lo infilò in tasca fare veloce. La sua ricerca continuò fra le carte accumulate.
Finché non trovò un grosso registro rilegato in pelle. “Qui ci devono essere le fatture di tutte le forniture,” mormorò. Sfogliando le pagine, si imbatté in una sezione dedicata alla pollina. Osservò una delle prime fatture e lesse ad alta voce: “Cinque tonnellate di pollina… provenienza: Allevamenti куры (Kury) Pharmstandard… trattamento antibiotico settimanale: Penicillina G, Streptomicina, Tetraciclina, Neomicina, Eritromicina, Ciprofloxacina… Prezzo unitario: 150 dollari USA.”
“Professore” lo interruppe Lewa “ho trovato questo!” e mostrò un lungo elenco di persone, con data di nascita, mansione e alcuni cibi: la maggior parte aveva una linea di penna che cancellava il nome. Erano le vittime di quella tragedia. C’erano circa una cinquantina fra giovani e vecchi, uomini e donne. “Questo killer non fa distinzioni di età o sesso”-disse Alpha scrutando i fogli. Fra i nomi cancellati c’erano il cuoco, l’aiuto, il lavapiatti, il capitano e gran parte del personale di bordo. Erano rimasti intatti solo cinque membri della sala macchine.” Alpha prese la lista, affianco ad ogni nome ci sono alcuni nomi di cibo: il capitano ->crostacei e arachidi; il cuoco ->carne… i cinque che non erano stati cancellati erano affiancati da ->verdure”.
La soluzione
Lewa si avvicinò alla vasca di coltura idroponica. “Queste verdure sono enormi! Perché?” E così facendo stava per afferrarne una quando Alpha si fiondò su di lei, fermandole la mano. “Ferma!” Le intimò, senza indugiare. “Sei di fronte ad una gigantesca coltura di super batteri resistenti agli antibiotici”. “Ma queste verdure sono sanissime: si vede ad occhio nudo!” Cercò di spiegare la giovane brunetta. “Nennè” l’apostrofò il professore canticchiando “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior; ma se il letame è trattato con troppi antibiotici rischi di far crescere anche dei super batteri!”
Lewa sgranò gli occhi guardando gli ortaggi, facendo un passo indietro. Il prof. Alpha continuò con fare accademico: “Hanno creato un impianto idroponico per avere verdure fresche, usando lampade speciali e concimando con pollina e terriccio. Ma se la pollina è trattata con antibiotici, possono crescere batteri resistenti. E le piante non risentono dei batteri patogeni per l’uomo. Questa pollina” e così dicendo indicò il secchio con l’acqua maleodorante “è ottenuta da polli che, per un motivo o l’altro, hanno fatto qualche ciclo di antibiotici di troppo. Le fatture che l’accompagnano segnalano ben sei antibiotici diversi. E, per qualche caso funesto, in questi scarti si è sviluppato un batterio resistente che si è conservato dentro questo fusto. E’ nato, cresciuto e pasciuto in mezzo ai farmaci più potenti: ora tutte le terapie antibiotiche per distruggerlo gli fanno o’ solletico!”
Alpha si avvicinò al banco in acciaio e afferrò la lunga lista: “Questi poveretti segnati hanno avuto tutti la stessa sfortuna: mangiare queste verdune, probabilmente non adeguatamente lavate. Gli unici che si sono salvati sono stati quelli che non manigavano le verdure: i cinque della sala macchine. Concimare è un’arte: bisogna sapere l’origine degli animali che producono il letame. Altrimenti si rischia di fare una pericolosa frittata! o’ meglio fertilizzante è chillo ca’ te faje cu e’ mani toje!” E fiero, si battette il petto tre volte.
Abbandonare la nave
Proprio in quel momento un cupo tonfo metallico riecheggiò nelle vuote lastre di metallo della nave. Un fiotto d’acqua fece saltare alcuni bulloni sul soffitto della cucina, facendo infiammare gli altoparlanti che fumando andarono irrimediabilmente in corto circuito. Alpha e Lewa si lanciarono un’occhiata di terrore. “Professore, dobbiamo uscire da qui!” E così dicendo corsero verso il corridoio. La cucina iniziò velocemente a riempirsi d’acqua salata. Le luci dei neon iniziarono a sfiammare, prima di lanciare la stanza nel buio più totale. “La stanza del medico!” Urlò il prof. Alpha, indicando la stanza dell’uomo in camice bianco che riversava a terra privo di sensi. I due si fiondarono nella stanza buia, prima che l’acqua li raggiungesse. “Chiudi la porta, Lewa! Dobbiamo impedire che l’acqua entri in questa stanza!” Urlò Alpha, mentre le ultime luci del corridoio si spegnevano sotto l’effetto dell’ondata dirompende dell’acqua.
I due erano al buio mentre lo scrosciare dell’acqua batteva inesorabile sulla porta. “Non voglio morire… ho paura” disse Lewa signhiozzando. “Stai tranquilla, ce la caveremo” la rassicurò Alpha. “Aiutami a trovare un modo per salire verso il sistema di aereazione”. In quel momento i due furono scaraventati verso un lato della stanza: la nave si era irrimediabilmente inclinata. Alpha sentì l’urto violento contro la parete di acciaio, le urla di Lewa, il dolore della maniglia della porta contro la sua testa, il sangue caldo che gli scorreva lungo la fronte. Poi il silenzio.
In paradiso
Aprì gli occhi. Alpha fu inondato dalla luce della stanza. Il bianco alle pareti era di un candore celestiale. La visione di una bella fanciulla sembrò quasi annunciare il suo ingresso in paradiso. Un angelo dai lineamenti familiari. Quasi istintivamente, con un filo di voce il professore disse: “Viola…(vedi racconto 1)”. La bella segretaria lo fermò mentre il professore cercava di alzarsi dal letto di degenza. “Professore, non si muova. La stavamo cercando da giorni. I pescatori l’hanno trovato sulla spiaggia di Napoli e l’hanno portata qui in ospedale.”
“Veleni, (vedi racconto 3).. super batteri… Napoli… E se tutto fosse stato un incubo?” Disse sottovoce Alpha mentre si guardò attorno, malgrado il collare e le bende gli impedivano di ruotare il collo. Nei lettini affianco al suo c’erano altri malati, ma nessuno assomigliava a Lewa: la bella ragazza di colore era scomparsa. Forse era tutta una messa in scena… “Professore, lei ha perso il portafogli e tutti i documenti: rintracciarla è stata un’impresa. L’unica cosa che le hanno trovato addosso è un biglietto, su cui è scritto HEADQUARTERS.” E così dicendo, mostrò ad Alpha un piccolo biglietto giallo stropicciato. I numeri erano completamente cancellati dall’azione dell’acqua marina. Solo il prefisso era ancora ben visibile: +380 4499. Era chiaro: il quartier generale a cui si faceva riferimento era in territorio russo. In un luogo il cui nome faceva riemergere fantasmi di terrore: Pryp”jat’.
…continua
Francesco Attanasio
Bibliografia