“L’aria era frizzante. Le ultime luci del giorno coloravano le foglie dei pomodori nell’orto di un
verde olivastro. Pochi giorni prima, la pioggia aveva allontanato quell’arsura insopportabile. Nel
giardino, gli uccelli andavano a dissetarsi nei sottovasi che erano ancora pieni d’acqua. Incredula, mi trovavo a fissare la Grande Montagna: un attimo prima ero insieme alle mie sorellefratelli a mangiare, ed un attimo dopo ero lontana chissà quanto. Guardavo la cima e pensavo alla mia famiglia, a tutto quello che mi aspettava: strinsi forte la mia conchiglia portafortuna e mi misi in cammino. Sapevo che il viaggio sarebbe stato duro e pericoloso, ma non potevo permettermi pause inutili. Dovevo arrivare in cima prima dell’alba.
Gli abitanti della Montagna
La Grande Montagna era abitata da una moltitudine di colonie, tribù e famiglie: alcune, come la mia,
pacifiche e bonarie, altre temibili. Nel silenzio della notte, strisciai nell’erba senza far rumore, verso le pendici del monte, sperando di passare inosservata. Qui c’era il villaggio dei Mollirosa: una tribù di tranquilli mangiatori di terra, che si animava nelle giornate piovose. Passai tranquillamente fra gli abitanti del villaggio, mentre alcuni si contorcevano sopra mucchi di terra o cartone in decomposizione. Iniziai ad arrampicarmi sulle ramaglie alla base della montagna, che lasciavano passare la fresca brezza della notte. Le foglie, ammassate, erano umide, ma non bagnate. Proprio qui trovai un’indaffarata popolazione intenta a mangiare. Ero stanca. Mi avvicinai per rifocillarmi, e mi accolsero con grande gioia. Erano tutti vicini ma di tribù diverse: c’erano i Tantezampe, gli Avvolgibili e i Guscioduro. Mi fecero un po’ di spazio e mangiai con loro. Appena finito, senza indugiare troppo, salutai e mi rimisi in cammino.
Un luogo pericoloso
Tutto a un tratto, mentre salivo, l’aria diventò irrespirabile. Un tanfo acre mi aveva stordito, tanto che provai a fuggire da quella zona. Fu allora che li notai: erano tutti seduti su un vecchio guscio di uovo marcio. Piccoli ma letali: la colonia dei Putrifici era la più temuta della montagna. Ma come avevano fatto ad arrivare lì? Il calore del cuore della Grande Montagna non li avrebbe dovuti uccidere? La risposta arrivò guardandomi in giro. Una lunga busta di plastica
bianca, fra gli scarti, aveva creato un ambiente ideale. L’aria era tanto satura di umidità da formare delle piccole pozzanghere sulla plastica, ora ricoperta dalle muffe nere. Spaventata, mi allontanai in fretta da quella landa marcescente. Il cielo aveva cominciato a colorarsi delle prime luci dell’alba. Le mie orme luccicavano fra gli avanzi. Non avevo troppo tempo.
L’abbraccio
Arrampicandomi sui tovaglioli bianchi di carta avevo quasi perso ogni speranza, quando finalmente lo vidi: il mucchio di scarti di insalata. Ero arrivata! Con un ultimo scatto vi ho raggiunte, poco prima che il sole illuminasse le foglie secche della Grande Montagna. Ed eccomi qui, con voi.”
Tutte le altre guardarono con gli occhi sgranati la loro compagna e ascoltavano ammutolite il racconto della sua fantastica avventura. Felici di averla di nuovo fra loro, si avvicinarono in un tenero abbraccio. E mentre il sole splendeva alto nell’orto, nessuno si chiese mai chi avesse spostato quella chiocciola dalla cima della compostiera.
Francesco Attanasio