Il mattino era caldo. Fra i fiori del giardino del laboratorio, sciami di api danzavano senza essere disturbati. All’interno dell’edificio, in paglia e terra cruda, una vivace discussione dai toni alti ruppe la quiete del posto: «MA COMM TE L’AGGIA DICERE? LA DOVETE SMETTERE DI LITIGARE!». Nella stanza dalle grandi vetrate, una moltitudine di ortive facevano capolino dai vasi di terracotta. Si aggiustò gli occhiali e riprendendo fiato, il professor Alpha puntò il dito verso un vaso con delle piantine: «lo sanno tutti: la Allium cepa e la Daucus carota hanno bisogno l’una dell’altra, altrimenti che consociazione è?» Si girò di scatto per prendere alcuni bulbi dal tavolo affianco. Li mostrò con toni di sfida in direzione del vaso: «Altrimenti ti metto assieme all’aglio, e poi VOGLIO PROPETO VERE’!» Ma l’acceso rimprovero fu interrotto da alcuni colpi alla porta: «Professore, mi scusi». La porta si aprì. Le curve sinuose della segretaria bionda comparvero da dietro l’anta in radica scura. Con passo felino, la giovane donna avanzò verso il professore. Il camice bianco roteava intorno alle gambe slanciate. Gli occhi, chiari e vispi della ragazza, si posarono sui vasi con le piantine. In mano aveva due buste da lettera, qualche foglio e una foto. «Viola, dimmi pure» le disse il professore. Accomodando, con eleganza, una ciocca di capelli biondi intorno all’orecchio sinistro, iniziò: «E’ arrivata una lettera da parte di Donna Milena, del vivaio sul Vesuvio. Al suo interno c’è una foto della regina d’Inghilterra mentre porta un bouchet di rose…sembrerebbero le Juliet» e così facendo mostrò la foto della regina con tanto di dedica. Lo sguardo del professore, intento a ricordare, andò a cercare un angolo in alto a sinistra sul soffitto, poi, con fare soddisfatto stese il bavero del camice con una punta di orgoglio e sorrise (vedi racconto 1).
La lettera
La ragazza non fece attenzione all’atteggiamento del professore e proseguì, mentre mostrava le buste che aveva in mano: «Poi sono arrivate queste due lettere chiuse in ceralacca» e poggiò le buste sul tavolino in noce italiano: una bianca e l’altra color avorio. Il timbro in lacca rossa spiccava come una spia di allerta. «Quella bianca arriva dal dottor Ispani. L’altra non ha mittente», fece Viola. Il professore, le fissò con attenzione. Il dottor Ispani era un archeologo di grande fama nel panorama scientifico italiano. Il suo nome era salito alla ribalta delle cronache nazionali dopo il ritrovamento del “tesoro archeologico”, un caso di ricettazione di antichi reperti in oro di fattura ellenica. Se aveva avuto la briga di scrivergli una lettera, c’era di sicuro un valido motivo. L’aprì mentre frammenti di ceralacca si spargevano sul pavimento in cotto. La osservò con attenzione. Sul suo viso comparve un’ombra di incertezza. La bella assistente lo ridestò dalla sua trance meditativa: «Professore, c’è qualcosa che non va?». «Viola, per favore, prendimi la valigia. Partirò stesso oggi» le disse serio. «Devo essere lì prima di stasera» e così dicendo il professore posò una mano sulla spalla della giovane e proseguì dritto verso la porta del salone. Viola lo seguì con lo sguardo, e prima che uscisse dalla stanza, gli disse: «Per un viaggio lungo le consiglio la numero uno: un valore di attrito aereodinamico di 0.6, grande maneggevolezza e guidabilità.». Lui esitò un attimo, poi disse: «No, prenderò la bici numero 3», e uscì. Col suo inconfondibile panama avorio ed in sella alla sua bici in wengè nero con intarsi di frassino, pedalò alla volta di Maratea.
La montagna, come il mento spigoloso di un vecchio marinaio dalla barba incolta, guardava il mare blu che lambiva la scogliera. Dietro i grandi costoni di roccia apparve la colossale opera di Bruno Innocenti. Dopo l’ennesima curva vide il cancello nero della casa di Ispani. Scese dalla bici, e si avvicinò al citofono. “Guido Ispani”. Schiacciò il pulsante. La luce della telecamera si accese e il cancello si aprì senza indugio. Un uomo sulla cinquantina uscì dal vialetto per andare incontro al nuovo arrivato. «Professore!» Disse il padrone di casa sventolando il braccio in segno di saluto. Il professor Alpha si avvicinò: «Dottor Ispani, ho fatto il prima possibile» e si strinsero la mano. Quindi il professore riprese: «mi dica tutto: che è stat’?», ma l’uomo lo interruppe «Si, ma non qui: venga, entriamo in casa.» Il professore sganciò la sua valigia dalla bici e si incamminarono verso l’ingresso.
Il sospettato
Sul tavolino erano già pronti i liquori. Una cartellina rossa attirò l’attenzione del professore. I due si sedettero sulle sedie in vimini, in giardino. Ispani versò il rosolio nel bicchiere di cristallo. Lo porse al professore, mentre iniziò con calma: «Alcune anfore antiche per il trasporto del vino sono state trafugate dal museo archeologico», e mentre parlava faceva scorrere le schede tecniche di due anfore del diametro di circa un metro, per il trasporto del vino, risalenti all’epoca romana. Il buono stato di conservazione e lo spesso strato di rivestimento in cera d’api li faceva essere un boccone ambito per collezionisti e ricettatori del mercato nero. Ispani continuò: «Le indagini della polizia portano a lui» e, aprendo la cartellina, tirò fuori alcune foto. Aggiustandosi i piccoli occhiali, il professore osservò le immagini, portandole vicino al viso per coglierne meglio i particolari. La filiforme figura dell’uomo nelle foto ne risaltava la carnagione scura. «Le anfore fanno parte di una collezione privata, di cui io sono il responsabile. Sto collaborando con la polizia per acciuffare quel delinquente, prima che parta e venda i reperti. Abbiamo fondati sospetti che le anfore possano essere sotto uno dei 5 cumuli di compost che l’uomo tiene dietro la casa, ma non riusciamo a capire dove esattamente», e così facendo mostrò le foto di alcuni cumuli di compost in giardino. Il professore sorseggiò il suo rosolio, poi guardando le foto disse: «Dottò, lei lo ha un pallone da calcio?» Ispani sgranò gli occhi, stupito. Il professore continuò: «Avvisi la polizia che si tenesse pronta per domani mattina: vi mostrerò esattamente dove si trovano le due anfore antiche».
Alle prime luci dell’alba, il professor Alpha era già in giardino a passeggiare. Il garrito delle rondini echeggiava fra le rocce della scogliera a picco sul mare. La stanza offerta per la notte nella residenza Ispani era comoda e accogliente, ma il professore passò gran parte del tempo ad osservare le stelle e le costellazioni fuori in giardino. Il dottor Ispani uscì dal balcone, percorse le scale fino al giardino, col caffè ancora fumante. «Professore, il suo caffè», disse porgendo la tazzina;« quando vuole siamo pronti. Ho avvisato anche la polizia. Andremo con la mia macchina.»poi si girò a mostrare un vecchio pallone da calcio «e questo? A cosa le serve?» Il professore sorseggiando il caffè rispose: «dottò, chillo è un passepartout», e sorrise.
Un inusuale stratagemma
Neanche mezz’ora e i due si misero in auto. La fiat tipo del dottore affrontava egregiamente le irte salite della costiera marateota. Ispani era teso come una corda di violino. Dopo una serie di curve a gomito, si trovarono all’ingresso di una grande proprietà, in pessimo stato. Un cancello di lamiera chiudeva il confine. L’auto si fermò. Alpha scese e senza indugio prese il pallone, lo calciò violentemente facendolo finire nella proprietà. Si avvicinò al citofono e suonò il campanello. Fra lo stupore di Ispani e l’abbaiare di alcuni cani, una voce di uomo li intimò: «chi è?» «Scusate, abbiate pacienza, chill o bambino ha mandato il pallone dentro al giardino. Se mi aprite un attimo lo prendo e me ne vado», disse pronto il professore. La voce esitò un attimo, poi continuò: «vabbene, ma fate presto». «Grazie, a maronn v’adda benericere!» rispose Alpha ed entrarono, lasciando il cancello aperto dietro di loro.
Le indagini
Si diressero subito verso i 5 cumuli di compost dietro la casa. Due cani, alla catena, abbaiavano insistentemente. Ispani teneva pronto il cellulare per contattare la polizia. Nell’ampio giardino piastrellato c’erano cinque cumuli trapezioidali, alti poco più di un metro e sessanta, ricoperti di paglia e direttamente poggiati sulla nuda pietra. Si avvicinarono. Un forte odore di decomposizione avanzata arrivava dai cumuli, che dovevano essere li da settimane. Il percolato fuoriusciva da sotto ai primi tre cumuli; quello del primo era addirittura traslucido e oleoso, con una grossa chiazza di grasso rappreso. Alcuni pezzi di plastica colorata facevano capolino dal penultimo ed una grossa bottiglia rotta di vetro sporgeva dal quinto. La loro ispezione fu interrotta dall’arrivo del padrone di casa: «ma cosa state facendo qui?» domandò l’uomo minacciosamente. Ispani provò a rispondere timidamente, mentre armeggiava con la mano in tasca alla ricerca del tasto di chiamata automatico, per avvisare la polizia: «abbiamo smarrito il pallone di mio figlio…perdonateci…» ma il professore interruppe la scusa ormai non più necessaria: «Mio egregio signore, ma lo sa che lei è davvero un delinquente?» Gli occhi dell’uomo si spalancarono al suono di quelle parole. Il suo colorito divenne ancora più scuro e la vena sul collo prese una forma inaspettata. «Ma come si permette?» iniziò a chiedere l’uomo balbettando, ma il professore non curante riprese: «certo: è un delinquente ed un lestofante! Cosa sono questi 5 ammassi qui?» L’uomo seguì con lo sguardo il dito del professore che indicava i 5 cumuli, quindi con tono severo gli rispose: «Sono compostiere!»
La soluzione
Il viso del professore arrossì tutto d’un tratto e s’inalberò con tono solenne: «COMPOSTIERE? Il puzzo che emanano mostra evidentemente che li tutto sta accadendo fuorché una decomposizione per fare del compost! La sua ignoranza è solo superata dalla sua incapacità: la plastica ed il vetro sono assolutamente da vietare in una compostiera, ma lei non lo sa, perché lo scopo di questi montoni di materiale è solo quello di occultare rifiuti o ALTRO. Il percolato, che fuoriesce alla base del cumulo, mostra un evidente stato di putrefazione e marcescenza, avvantaggiata dal fatto di non essere direttamente su terreno, dove ci sarebbe stato l’aiuto di organismi utili come millepiedi, lombrichi e quant’altro». La fronte dell’uomo era madida di sudore, ma il professore camminava sicuro fra i cumuli e continuò: «La macchia che galleggia sul percolato fuoriuscito da questo cumulo è innaturalmente grassa, cosa che può accadere solo se aveste fatto la fesseria di versare una tanica d’olio o inserire un’altra sostanza grassa dentro alla compostiera, come la cera d’api. All’interno del cumulo, la temperatura può arrivare a 70° e sciogliere senza problemi anche la cera d’api che può essere presente all’interno di un’ ANFORA ANTICA PER RENDERLA IMPERMEABILE AL TRASPORTO DEL VINO!» e con un calcio secco smosse il primo cumulo. Come per incanto le due anfore gigantesche rotolarono nei rifiuti, fra esalazioni mefitiche e mosche di ogni genere. Il professore si avvicinò al viso del criminale, in tono di sfida: «guagliò, o’ compost è na’ cosa seria!» L’uomo indietreggiò e si voltò in un tentativo disperato di fuga, ma il suono delle sirene della polizia lo pietrificarono. Gli agenti irruppero nel giardino, fiondandosi sul maldicente. Ispani guardò le anfore, emettendo in un unico sospiro l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento. Il professore si allontanò dai cumuli e andò sicuro verso la fiat tipo. Un altro caso era stato risolto.
Il ritorno a casa
Il professor Alpha ritornò a casa a notte fonda. La luna gli illuminò il cammino lungo il viale fiorito. Le luci della casa-laboratorio erano tutte spente. «Viola sarà di certo andata a casa», pensò fra se e se. Entrò e posò la valigia in corridoio, promettendosi di riordinare tutto prima dell’alba. Andò nella stanza dalle grandi vetrate. Si accomodò sulla poltrona in laboratorio, osservando le orticole ancora sul tavolo. La sua attenzione fu catturata dal tavolino in noce italiano su cui spiccava la lettera avorio col timbro in ceralacca. La prese. Era leggermente bombata, come se contenesse qualcosa di più della carta. Si appoggiò allo schienale della poltrona e l’aprì con calma. Gli occhi azzurri si spalancarono nel vedere il contenuto della lettera. Il professore osservò con preoccupazione la piccola confezione di cartone ondulato e pluriball che stringeva fra le mani. Una piccola boccetta. Ma non si preoccupò per lo strano liquido verde nella bottiglina della confezione, ma il simbolo dell’unicode U+2620 che lo classificavano: un teschio con due ossa incrociate.
continua…
Francesco Attanasio
Bibliografia
La concimazione organica e le tecniche di compostaggio di Renata Rogo
Guida pratica al compost di Nicky Scott
Guida al compostaggio di Robert Sulzberger